Play 2016: Reportage

di Daniele “ditadinchiostro” Ursini

Cominciamo dalla fine, dall’ultima pipì prima di lasciare la fiera. I report sono sempre pieni di prove di giochi, di incontri e, nei pezzi dei recensori più attenti, di cibi consumati. Ciò su cui si tende a soprassedere sono però le pause bagno, le quali, in molte circostanze, si rivelano tra i momenti più sorprendenti di tutta una fiera.

I Bagni

Cominciamo dall’ultima pipì, dicevamo. E dalla conseguente lavata di mani. Ero lì a seviziare un coriaceo pezzo di carta per asciugarmi, quando il ragazzo accanto a me scorge la maglietta gioconautiana. Fissa il nome sul petto e cambia espressione. Diventa serio e concentrato e io penso che è finita. L’autore di ‘Exoplanets’ mi ha incontrato in un bagno deserto: si avverano sempre le preghiere altrui. Mentre penso a come scrivere il mio epitaffio, il ragazzo mi spara un sorriso gentilissimo e dice qualcosa tipo: i tuoi articoli mi piacciono un sacco, li leggo sempre, continua così. Allora non è vero che non ci si capisce niente. O magari sì, però piacciono. Allora continuerò così. Lo avrei fatto comunque, ma sapendolo si sta meglio. In definitiva devo dire che i bagni di Play riservano sorprese interessanti. Almeno loro.

Gli Amici

Play 2016: ReportageMi pare fosse il duemilaotto. Giocavo in maniera costante da circa un anno e scelsi la mia prima fiera ludica. In quell’anno Play iniziava l’avventura nei padiglioni della fiera di Modena. Ricordo quel sapore di convention ingrandita e una spessa coltre di passione impenetrabile senza restarne contagiati. Oggi la coltre è di rumore. Chiacchiere e folla ne fanno il regno delle pubbliche relazioni. I giocatori vanno a Play per incontrare altri giocatori, gli autori per incontrare gli editori, gli editori per vendere e le famiglie per vedere qualcosa di diverso che diverso non è più da anni. Il gioco è una suppellettile. Una piacevole distrazione in un programma serrato. Io ormai vado per tradizione. E per incontrare gli altri Gioconauti. Non è piaggeria, è metagioco. Quando il divertimento non arriva dalle scatole, allora è necessario estrarlo da altre fonti e gli amici sono la mia preferita. Abituali, lontani, nuovi. Play è ormai il festival dell’amicizia. Non che sia poco, però l’amicizia, per quanto divertente, non dovrebbe essere un gioco.

I Giochi

Che poi qualche gioco si riesce anche a provare. Avrei voluto dire qualche gioco nuovo, ma sarebbe sembrato eccessivo. C’era una classifica delle novità: l’ha vinta Potion Explosion, sul mercato da sette mesi. Probabilmente ad essere premiate come nuove sono state le fustelle, le quali finalmente riescono almeno a incastrarsi fra loro. La migliore novità della fiera era Above and Below. Lo avrei detto anche se quei pochi turni giocati in coppia con Max non ci avessero consacrati Principi del sottosuolo. Il nostro “Esplora 7” al primo turno, la tattica dell’addestramento selvaggio e i tre 6 tirando tre dadi, sono già diventati leggenda tra i cunicoli, dove le voci girano veloci di talpa in talpa. Per essere valido un gioco deve avere idee ed equilibrio, Above and Below pare possedere entrambe le caratteristiche. E di caratteristiche ho parlato a lungo dopo aver provato Grand Austria Hotel. Qualcuno è propenso a chiamare difetti l’elevato downtime e la scarsissima interazione insite nel dna di questo titolo; per me restano nello spettro delle caratteristiche. Caratteristiche che non me lo faranno mai amare, ma non di solo amore vive l’uomo. C’è anche la stima e questa non mi sento di negargliela: il gioco c’è e funziona, anche se non sorprende né esalta. Eppure avrà i suoi estimatori. Ci sono amatori per tutto. Ce ne saranno persino per Orgoglio Nerd, pur se non mi è sembrato di scorgere nulla di amabile in quel giochino di carte. Nessuna idea, nessuna scelta, nessun divertimento. Certo in mezzo alla mediocrità anche spiccare in negativo può dare visibilità. Mi piacerebbe contraddirmi, polemizzare con me stesso dicendo che i gusti non si discutono, ma non sarebbe da me appellarmi a un’argomentazione così debole. Riuscirei a demolirla in un secondo. Che i gusti non si discutano è un fatto. Che esistano parametri oggettivi per valutare un gioco è un altro fatto. Due fatti per nulla in concorrenza tra loro.Play 2016: Reportage Yeti e Celestia ne sono stati la dimostrazione, contendendosi la palma del “Miglior family game provato in fiera da me”. Yeti aveva tutto per vincerlo: un’idea divertente e l’ambientazione artica che a me tira più del famoso carro di buoi. Aveva anche materiali belli, pur se troppo piccoli per garantire una buona giocabilità, ma le mie donne mi hanno sempre detto che le dimensioni non contano, quindi ci sarei passato sopra. Purtroppo Yeti ha manifestato problemi ben prima di considerarne le dimensioni. Dopo una breve fiammata d’entusiasmo iniziale, l’esperienza di gioco è diventata ripetitiva e molto lunga; se parlassimo ancora delle mie donne sarebbe un commento positivo, ma trattandosi di un family game il risultato è soltanto noia. Meglio Celestia che di idee non ne ha, però almeno offre spunti di divertimento. La meccanica di base è quella dell’uovo oggi o la gallina domani (che alcune tribù chiamano ‘push your luck’), in cui s’inserisce un finto meccanismo di bluff e qualche carta sgravona (perdonatemi l’uso di termini prettamente tecnici). L’amalgama risulta gradevole per il target cui è rivolto, ma mi infastidisce premiare un titolo appena normale solo per mancanza di alternative, quindi, poiché il premio è mio, lo cambio in “Miglior espansione che non ho provato per un family game”. La vittoria va ad ex aequo a Rush & Bash: Winter is Now e Loony Quest: The Lost City. Se queste espansioni continueranno nel solco dei rispettivi giochi base, allora le famiglie avranno divertimento assicurato ancora a lungo. Divertimento di quello buono, di quello che si ricorda, di quello che racconti e vuoi rivivere di tanto in tanto.

Gli Acquisti

Mi piacerebbe dire lo stesso di Play, ma fin ora le espansioni non hanno prodotto i risultati sperati. A meno che i risultati non fossero un incremento del dieci per cento degli ingressi. In quel caso sì. I visitatori sono sempre di più. Da tanta fiducia però deriva tanta responsabilità. Responsabilità nei confronti degli avventori, della loro voglia di giocare e di acquistare. Impressionante l’ansia da acquisto che ho visto sabato mattina; per un attimo mi sono sentito ad Essen, dove però l’acquisto compulsivo è giustificato dalla voglia di risparmiare e di accaparrarsi le novità. A Play si compra probabilmente per la frustrazione di non poter comprare per risparmiare e per accaparrarsi le novità. In qualsiasi caso il movimento di soldi riesce a rendere tutti felici. Sono felici gli editori che svuotano i magazzini, sono felici gli organizzatori che esibiscono i numeri di un successo e sono felici i giocatori, i quali, appagati, possono postare le foto dei loro acquisti. E quando arriva la sera e si spengono le luci e si spranga il cancello, se nell’aria resta la percezione della felicità, allora domani il latte sarà migliore.

La Felicità

Questa storia della felicità è una faccenda complessa, piena di eccezioni e sottoregole. Lo so bene io: per ogni articolo che scrivo conto le persone che non farò felici e aumento di un punto la paura di andare in bagno senza scorta. Capisco che si possa scegliere di fare pipì in maniera più tranquilla. Spero solo che oggi tra gli insoddisfatti non ci sia anche il ragazzo del bagno o i tanti altri che hanno speso qualche minuto della loro fiera a complimentarsi con me e che, per questo, ringrazio. Stavolta lo stile è semplice, lineare. Nessun rischio, nessun tentativo di spingersi al limite. Ho pensato fosse anacronistico elevare la scrittura in un report di Play 2016. E poi c’è il problema degli astenuti. Tanti attestati di stima, qualche atavico oppositore del mio modo di scrivere, ma gli altri? Voglio dire: tutti quelli che non esprimono nessun giudizio, come dovrei considerarli? Perché se li reputo dalla mia parte allora continuo con i miei articoli, godendo del costante aumento delle letture. Se però li ritengo avversi, allora magari, per una volta, provo a scrivere un pezzo più semplice, come questo. Anche solo per provare a cambiare qualcosa, per mettermi alla prova. Anche solo per dare l’esempio.

3 pensieri riguardo “Play 2016: Reportage

  • 20 Aprile 2016 in 11:49
    Permalink

    Ditemi il nome del ghost writer di ditadinchiostro.
    Questo articolo è semplice, lineare e lo capirebbe chiunque.
    Perfavore non prendetemi in giro

  • 20 Aprile 2016 in 22:18
    Permalink

    Per una volta un articolo di Ditadinchiostro mi ha lasciato indifferente

    Ed era perfettamente voluto

    Sono confuso

    Ma se sono confuso, non sono più indifferente

    Ho bisogno di un fernet

  • 21 Aprile 2016 in 10:21
    Permalink

    Sono sempre curioso di sapere cosa ne pensa la gente di un gioco che ha provato e sono sempre interessato anche alle impressioni di Dita e Max. Purtroppo, dai loro articoli, non sempre riesco a capire se sono rimasti ben impressionati o meno, soprattutto per il fatto che non riesco a distinguere tra commenti ironici o seri. Probabilmente mi sono troppo abituato alle recensioni tecniche di altri autori.
    Oggi invece ho capitto tutto :)
    E devo dire che sono pienamente d’accordo con Dita: questa è stata la play dei filler. I filler non sono proprio il mio genere. Speravo di provare Forbidden stars e lords of the ice garden (andavano benissimo anche in inglese) ma nessuno dei due era disponibile per le prove.
    Speravo di trovare qualche buon gioco con uno sconticino, ma invece sembra che la fiera faccia lievitare i prezzi.
    Un flop completo? no, per tutti i motivi elencati da Dita (che mi spiace di non aver incontrato) e anche per TdG, Casa Europa e il TreEmme che hanno fatto un lavoro esemplare.

    scusate questo piccolo sfogo, come sempre complimenti e a presto
    davide nippo

    ps. anche io ho comprato qualcosa: Cacao, l’ho pagato caro ma mi consolo col fatto che era l’edizione inglese

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