Heir to the Pharaoh: in Egitto come cani e gatti

di Max “Luna” Rambaldi :: Heir to the Pharaoh

Alla ricerca di antichità perdute, tra piramidi di scatole, sbuca fuori un Heir to the Pharaoh. Sulla copertina è praticamente scritto Prendimi Max. Poi lo giri e viene fuori che è un gioco del 2016 alla faccia delle antichità perdute, ma fai finta di niente e finisce nella wishlist comunque.

Il Faraone, non è dato sapere quale, ha deciso che la sua figliolanza è indegna di sollevare alcuno scettro, poichè le grandi soddisfazioni della vita arrivano dai suoi cuccioletti di palazzo: gatti e cani. Non si drogano, non chiedono la paghetta ogni santo giorno e sono tanto carini, è quindi sensato e giusto dare in eredità il suo regno a questi secondi figli quadrupedi piuttosto che ai reali discendenti di sangue.

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Presumo che, vista la sua posizione, il Faraone la legge un po’ se la faccia da solo, e se è stato legalmente accettato che le ricchezze di Madame Adelaide andassero in eredità a Duchessa e i gattini, non vedo perché non si possa lasciare un regno nella abili zampe dei divini discendenti di Basteet. Sì, perché non esiste che vincano i cani. Questo gioco va provato e devono vincere i gatti. Punto.

Heir to the Pharaoh credo sia stato pledgiato a morte su Kickstarter, finendo sugli scaffali delle ludoteche, proprio perchè ha puntato su questo: l’atavico e inspiegabile amore-odio per i felini. Anche per l’atavica rivalità tra gattare e cinofili, ma soprattutto perché i gatti o li ami o li detesti (e quindi tifi per i cani per ripicca).

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La grafica del gioco è molto graziosa, ambientata quanto basta, colorata e invitante per quanto riguarda le carte ma soprattutto nel tabellone, con la sua semplicissima ma efficace veduta dall’alto di un deserto a scacchi diviso dal fiume, e le fasi lunari (o punti) tutti intorno.
Il gioco è ovviamente rivolto a 2 giocatori, che andranno a prendere le parti di una o dell’altra fazione, Bast o Anubis, per ottenere i favori del sovrano nell’arco di 8 round. Per farlo dovranno dimostrare di essere in grado di fare qualcosa di più imponente del classico riportare l’Hekat quando glielo si lancia, qualcosa di fico come costruire una città ad esempio! Grazie a 7 abilità dei giocatori che variano ad ogni round, e al favore degli dei, si dovranno costruire piccoli edifici, monumenti minori e ovviamente l’edificio per eccellenza: la piramide. Ogni divinità permetterà di accedere a posizioni vantaggiose, o appropriarsi di nuovi edifici, o blocchi per la piramide, in un gioco che combina piazzamento tessere, collezione di set e costruzione di intricate reti di edifici, assieme al sapiente uso delle carte.

Heir to the Pharaoh
Un interessante meccanismo avviene mentre si cerca la benevolenza divina: i giocatori faranno contemporaneamente le offerte ad ogni dio del palazzo, ma attenzione! Le carte usate andranno poi all’avversario, così che la propria forza al turno successivo possa esserci rivolta contro.
Sebbene all’apparenza ci siano molte regole da ricordare, in quanto gioco rivolto a bambini dai 10 anni in su immagino che nell’apprendere il regolamento tutte le meccaniche acquisiscano senso in maniera intuitiva, coadiuvate da carte che si spiegano da sole e da una grafica efficace.

Quando Doc ha adocchiato Heir the Pharaoh e mi ha passato il link di soppiatto so a cosa stava pensando. Stava già pregustandosi pop-corn caldi e velatamente salati sul suo divano mentale, sorseggiando gazzosa d’annata, contemplando lo sfacelo di una partita tra quella gattara accanita di Max contro quel cane sciolto di Maledice. Illuso, non serve arruffare il pelo per un gioco del genere, tanto sappiamo già di chi saranno le impronte che rimarranno impresse nelle sabbie della Storia…

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