Giocare Old School | GDR

di Alessandro “Sikander”

L’OSR (Old School Renaissance) è un movimento nato per riportare in auge un certo modo di giocare di ruolo tipico degli anni ’70 – inizio ’80, cioè, per la precisione, il primo modo in cui si è giocato di ruolo.
Anche se non sempre i giocatori ne sono consapevoli, ci sono tante modalità per giocare di ruolo; il sistema di regole che poi andiamo a utilizzare (D&D, Pathfinder, Savage Worlds, ecc) può favorire una certa modaltà di gioco piuttosto che un’altra, ma solo se i giocatori “sanno quello che stanno facendo” è davvero possibile vivere un certo tipo di esperienza.

| Cos’è un GDR?

La prendo alla larga: nessuno di noi (credo) ha imparato a giocare di ruolo da un manuale, tutti abbiamo imparato da altri giocatori che già sapevano farlo, semplicemente giocando con loro. In effetti quasi nessun manuale si dilunga troppo a spiegare come si gioca effettivamente; magari ci dedica un paio di paginette nel capitolo introduttivo e poi passa subito a presentare il sistema. E quelle paginette possono anche sembrare esplicative per chi sa già giocare, ma credetemi: per chi non ha idea di cosa sia un gdr pen-and-paper sono assolutamente insufficienti!

Ricordo una volta che io e alcuni amici abbiamo reclutato al volo un ragazzo per una partita a Vampiri. Alla sua domanda su come si giocasse a Vampiri, un mio amico ha cominciato a snocciolargli spiegazioni sui clan di vampiri e sui doni oscuri…

A un certo momento l’ho interrotto (perché il ragazzo non stava capendo nulla) e gliel’ho spiegata più o meno così: “Ci sediamo tutti attorno a un tavolo. Uno di noi sarà l’arbitro di gioco, gli altri i giocatori veri e propri. Ogni giocatore interpreta un personaggio immaginario (nel nostro caso un vampiro) in un mondo fittizio, mentre l’arbitro di gioco interpreta ogni altro personaggio che popola quel mondo e inoltre ha autorità narrativa sugli eventi che accadranno. Il gioco si svolge in forma di dialogo tra i giocatori, che dicono cosa fanno i propri personaggi, e l’arbitro, che reagisce passo passo a tali affermazioni; in questo modo daremo vita tutti insieme a una sorta di teatro improvvisato, andando così a raccontare una storia vera e propria.
Un’ultima cosa: ogni volta che un personaggio intraprende un’azione il cui esito è dubbio (ad esempio tenta di scalare una parete scoscesa o di assassinare qualcuno) si ricorre ai dadi per stabilire se l’azione ha successo oppure no.”

“Ah, ho capito!”, mi aveva risposto (raggiante, perché la mia spiegazione lo stuzzicava).

In realtà, però, una spiegazione di questo tipo non basta affatto! Solo quando il ragazzo si è seduto a giocare con noi ha davvero compreso cosa stavamo facendo; e sapete una cosa? In verità non ha nemmeno imparato come si gioca di ruolo, ma solo come noi giochiamo di ruolo (o meglio: come noi abbiamo giocato a Vampiri in quell’occasione), che è molto molto diverso.

Tutti, dopo la nostra prima partita, abbiamo pensato che quel modo di giocare appena sperimentato fosse il modo universale in cui si gioca di ruolo, ma non è così: ci sono molti modi, le cui sfumature si comprendono solo dopo molte partite “diversificate” (se giochiamo per 10 anni solo a Vampiri, sempre con le stesse persone, probabilmente non capiremo mai che ci sono altri modi di giocare).

| Fai quello che vuoi

Mi spiego meglio. Avete presente le vecchie avventure grafiche punta-e-clicca della Lucas Arts? Tipo Monkey Island I e II, per intenderci. La prima volta che ne ho vista una, da ragazzo, mi ha trasmesso una sensazione di grande libertà: pensavo davvero che avrei potuto far fare qualunque cosa al protagonista dell’avventura! In realtà, però, potevo compiere solo una delle dodici azioni previste, interagendo unicamente con gli oggetti cliccabili, in un mondo limitato. E non certo per fare “ciò che volevo”, bensì per trovare gli agganci che mi facessero procedere in una storia già scritta.

Ecco, il primo approccio di un novizio con i gdr è spesso così: pensa di poter fare quello che vuole con il suo personaggio (anche perché, il più delle volte, questo è ciò che il master e gli altri giocatori gli stanno propinando), ma non-è-affatto-vero!
Infatti, magari io posso anche mettermi a corteggiare la moglie del mugnaio, ad esempio, ma se lo scopo dell’avventura è recuperare il Santo Graal nel dungeon del drago rosso, la mia opera di corteggiamento sarà, nel migliore dei casi, marginale ai fini della storia e tollerata dagli altri giocatori (nel peggiore: completamente ignorata da tutti, master compreso).

Chiedersi cosa bisogna fare con il proprio personaggio è assolutamente legittimo e una risposta del tipo “qualunque cosa tu voglia” è falsa, sempre.

Il “cosa si fa” con il proprio personaggio (esplorare un dungeon, cercare gli agganci per il proseguo della storia, passare da una griglia di combattimento all’altra, “ruolare”, risolvere una “posta” o altro) va sotto il nome di gameplay, termine con cui intendiamo perciò anche il “per cosa è stato ideato, a cosa è finalizzato” uno specifico gdr. Ad esempio il gameplay di D&D 4a edizione è incentrato al 90% sul combattimento con le miniature; il gameplay di Non Cedere Al Sonno è incentrato sulla narrazione di come i protagonisti affrontano le proprie debolezze e la follia; il gameplay di Kagematsu è incentrato sulla narrazione di un tot di scene predefinite al fine di sedurre un samurai.
Se ciascun giocatore facesse quello che gli pare a livello di gameplay (e alle volte succede) verrebbe fuori un paciugo di partita, dove magari uno non fa che tirare i dadi, un altro si esibisce in lunghi monologhi con i png, un altro tenta di esplorare aree inesistenti e scatena risse in taverna.

Ora, definito questo concetto, possiamo finalmente chiederci com’è che si gioca in modalità “Old School”, cioè qual è il gameplay di un gdr della Vecchia Scuola.
Nei manuali degli anni 70/80 (compreso D&D scatola rossa) non era specificato: era sottinteso. Nell’ultimo decennio, tuttavia, analizzando a posteriori quel modo di giocare, sono state definite le seguenti caratteristiche come peculiari della Old School (le riporto dal blog di Mauro Longo, che a sua volta le ha prese da Principia Apocrypha): alta mortalità, un open world da esplorare, mancanza di trame predefinite, enfasi sul problem solving creativo, un sistema di esperienza basato sull’esplorazione (in genere vincolato al ritrovamento di tesori), nessun interesse a creare incontri bilanciati, utilizzo di tabelle per creare effetti randomici che sorprendano sia i giocatori sia il master.

Andiamo dunque ad analizzare nel dettaglio questi elementi… e anche alcuni di quelli che tipicamente possiamo credere debbano esserci in un gdr, ma che magari non sono propri della Vecchia Scuola.

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