Escape the Dark Castle e la narrazione muori e fuggi

di Marco “alkyla” Oliva

Adoro portarvi all’attenzione chicche ludiche sfuggite ai più, meglio ancora se dalla meccanica alternativa. Ebbene con Escape the Dark Castle, il filler di narrazione cooperativo by Alex Crispin, credo proprio di fare centro. La Themeborne ne ha chiuso il kickstarter a metà 2017 ed ora il gioco può raggiungere anche in versione retail le case di mezzo mondo. Tra tutte quella delle anime pie che me l’hanno fatto provare. Ecco cos’è venuto fuori dalle prime partite.

 

La confezione colpisce da subito per materiali molto particolari. Dalla confezione, al regolamento, ai dadi, ai mazzi di carte, cuore del gioco, è tutto rigorosamente in bianco e nero, volutamente old school a partire dalle immagini. La produzione senza dubbio vuole ricreare l’atmosfera dei gdr o dei libro-game anni 80′. Ci riuscirà anche nel funzionamento?

L’obiettivo del gruppo è superare un dungeon composto da un mazzo coperto di 15 carte capitolo scelte tra 45, con in fondo un boss finale scelto tra tre. La carta iniziale ci spiega come siamo riusciti a liberarci fortuitamente dalla cella del castello in cui siamo stati ingiustamente imprigionati. Per guadagnarne l’uscita, però, restano ancora da affrontare pericoli di ogni sorta, rappresentati dalle carte capitolo.

In ciascun turno il gruppo sceglie chi fronteggerà il pericolo. Sarà lui a pescare la carta in cima al mazzo. Potrà trattarsi di una trappola, un mostro, un evento, per lo più avverso, che dovrà affrontare in solitaria, ma più probabilmente troviamo quest di gruppo. La carta spesso ne riporta gli esiti in caso di successo o fallimento. Il più delle volte la prova imporrà anche una scelta tra due alternative per le quali il gruppo potrà decidere di concerto. Una delle alternative quasi sempre fa partire un combattimento, anche in questo caso di gruppo o da risolvere singolarmente in contemporanea.

Ogni giocatore è rappresentato da una carta che illustra la distribuzione dei risultati del suo dado bianco. I personaggi si diversificano proprio per questa caratteristica. A inizio combattimento accanto al mostro vengono disposti i dadi neri nei risultati indicati in fondo alla carta capitolo. Il fattore fortuna in questa fase consiste nel simbolo omino, ad indicare come i restanti dadi neri da affrontare siano quelli da lanciare nel numero di giocatori. A questo punto tutti lo attaccano lanciando il proprio dado, nel tantativo di eguagliare il maggior numero di risultati del pool di dadi neri. Ogni risultato bianco elimina un pari risultato nero. Se restano ancora dadi neri, il mostro è sopravvissuto e contrattacca, infliggendo a ciascuno i danni della carta capitolo. Parano il colpo solo coloro che hanno ottenuto il simbolo scudo. Tutti gli altri scalano i danni al totale degli HP di partenza, segnandoli a matita sull’apposito blocchetto. I round di attacco proseguono sino a che non ci sono più dadi neri da contrastare. Il turno termina, ma prima di pescare il pericolo successivo, il gruppo guadagna il primo item dal relativo mazzo. Si tratta di oggetti da giocare una tantum per recuperare HP, ma i più interessanti sono sono quelli permanenti, come scudi, spade e altro.

Il capitolo in fondo è il mostro più potente del mazzo. Se tutti lo superano incolumi, la partita è vinta. Se invece prima di ciò uno qualunque dei personaggi dovesse arrivare a 0 HP, è tempo di ricominciare l’impresa.

Già, perché siamo di fronte al classico party game (in tutti i sensi!) in cui, anche per brevità, una partita tira l’altra, invogliati dal fatto che il grado di sfida è tutt’altro che basso! A dispetto del fattore fortuna imperante, si ha l’impressione che in fase di game design tutti gli aspetti siano stati ponderati come si deve. In tutte le partite fatte abbiamo sempre fallito al cospetto o quasi del mostro finale. D’altro canto a conti fatti nei 16 turni da affrontare a ciascun personaggio è chiesto di subire intorno ad 1 HP al turno, a partire da quelli iniziali che variano tra i 12 e i 18 in funzione del numero di giocatori. Giusto così.

Il flavour sta tutto nella narrazione. Lo stesso regolamento raccomanda di non saltare il testo in corsivo in cima al capitolo (sì quello che passiamo via a piè pari in tutti gli altri giochi…), pena il perdersi tutto il bello della storia. Fortemente raccomandato un sottofondo d’atmosfera. Il rovescio della medaglia è che al momento è tutto e solo in inglese, dunque è fondamentale che al tavolo ci sia chi è in grado di maneggiare con disinvoltura un Lone Wolf, anziché un Lupo Solitario, con tutti i tecnicismi del fantasy classico.

Quest’operazione nostalgia fatta gioco da tavolo in definitiva riesce pienamente. Attraverso una meccanica banalissima Escape riesce a ricreare un’atmosfera da gdr power play che spinge tanto sull’interazione. Al di là delle decisioni di gruppo, da notare le tante prove che consentono al giocatore di correre in soccorso ai compagni coi propri risultati o di concordare un riposo per recuperare un HP. E non si rivolge solo ai nostalgici di D&D prima edizione che cercano un buon filler di apertura o chiusura serata, tutt’altro! I neofiti del boardgame troveranno in questa scatola un ottimo punto di partenza.
E poi si rivolge a te. Sì, a te papà di bambino decenne. Lo so che frughi in rete alla ricerca di un titolo che appaghi la tua voglia di passato e allo stesso tempo plachi quella furia di un metro e 30 che si cheta solo con uno smartphone in mano. La tua ricerca è finita. Fallo. Adesso.

Un pensiero su “Escape the Dark Castle e la narrazione muori e fuggi

  • 1 Marzo 2018 in 16:59
    Permalink

    La citazione di Lone Wolf è quanto mai appropriata: gli artwork sembrano usciti dal più marcio dei Fighting Fantasy. Shame on Tom Vasel che nella sua miopia americana non può capire il fascino che illustrazioni così suscitano in quelli con il nostro background europeo.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.