Dell’arte, del potere e di altre sottoregole – (A Study in Emerald vs A Study in Emerald)

di Daniele “ditandinchiostro” A Study in Emerald

«Stavo ancora con la Puny, la mia prima moglie, e una sera che eravamo a Portobello di Gallura, dove avevamo una casa, fummo invitati in uno di questi ghetti per ricchi della costa nord. Come al solito, mi chiesero di prendere la chitarra e di cantare, ma io risposi -«Perché, invece, non parliamo?». Era il periodo che Paolo VI aveva tirato fuori la faccenda degli esorcismi, aveva detto che il diavolo esiste sul serio. Insomma a me questa cosa era rimasta nel gozzo e così ho detto: «Perché non parliamo di quello che sta succedendo in Italia?». Macché, avevano deciso che dovessi suonare. Allora mi sono rotto le palle, ho preso una sbronza terrificante, ho insultato tutti e sono tornato a casa. Qui mi sono chiuso nella rimessa e in una notte, da ubriaco, ho scritto Amico fragile. La Puny mi ha stanato alle otto del mattino, non mi trovava né a letto né da nessuna parte, ero ancora nel magazzino che finivo di scrivere.»

Quando guardo un Miró non succede niente. So che mantenere la giusta distanza dal quadro è importante, così come ampliare lo sguardo sull’intera opera e predisporsi ad accogliere le emozioni in movimento. Eppure non succede niente. Miró parla una lingua che io non comprendo. Cerco una guida, il bicchier d’acqua che aiuti un boccone faticoso ad esser deglutito, ma l’arte mediata perde la propria forza esplosiva. E io continuo a non esplodere davanti all’arte di Miró. Tuttavia, neanche per un momento mi è capitato di pensare che non si tratti di arte. Neanche per un momento ho pensato che Miró non fosse un artista.

Iniziando a frequentare gli ambienti del gioco da tavolo, ho subito avuto l’impressione di far parte di un gruppo che meritasse diritti maggiori di quelli che vantava. Scegliere di divulgare il gioco intelligente investendo tempo, energie e soldi era un dovere morale che la mia passione trovava impossibile disattendere. Non ero più soltanto intorno al tavolo con degli amici: scendevo in piazza con dei compagni. Nonostante si trattasse della più piccola delle rivoluzioni, era trascinante e divertente e nuova, viscerale, aggregante, dirompente. Contagiare con il nostro entusiasmo altre persone era tutto ciò che volevamo, senza nessun altro interesse.

A Study in EmeraldCi siamo seduti al tavolo di A Study in Emerald per opportunità. Ad Essen capita spesso. Comunque mi incuriosiva questo titolo avvolto nel mistero e, sebbene io non lo ami, Wallace resta sempre Wallace. Non lo amo perché, dietro la grafica sciatta dei suoi giochi, si intravedono gli ingranaggi; abilmente collegati, perfettamente oliati, ma rumorosi e antiestetici. Quel fastidio di fondo non mi lascia godere appieno dell’esperienza ludica. Provo a concentrarmi sull’ambientazione, sulle meccaniche, su un qualunque colpo di scena che non giungerà. So che non giungerà. O almeno ne ero sicuro prima di provare A Study in Emerald.

Non saprei dire esattamente quando è successo. Quando abbiamo smesso di giocare assieme ai babbani, preferendo spiegar loro le regole in piedi. Quando l’altruismo è divenuto egocentrismo. Sarei propenso a crederlo un passaggio graduale, proporzionale all’aumento di fatturato del mercato ludico. Al di là di un rapporto diretto fra causa e effetto, al di là di ogni numero. Forse ci siamo creduti arrivati: pionieri con la mano ancora stretta sulla bandiera piantata, scienziati d’avanguardia con potere di vita o di morte sulla nostra creatura. Forse siamo stati soltanto dei bravi cristiani, persuasi che alla semina debba seguire sempre il raccolto. In un modo o nell’altro.

La prima volta che ho ascoltato Amico Fragile sono rimasto frastornato. Apprezzavo già De André. La sua poetica, quella capacità unica di scegliere sempre la parola migliore, come fossero le parole stesse a proporsi per un preciso punto della canzone. Non che Amico Fragile apparisse diversa; la perfezione di ogni verso echeggiava nella mente, eppure rimaneva uno scrigno chiuso. O era lei a non aver senso, oppure ero io a non esserne all’altezza. Scelsi di dubitare delle mie capacità e mi misi in cerca. Non fu l’esegesi del testo ad illuminarmi, bensì la genesi dello stesso. Il racconto del modo in cui De André scrisse quel brano mi fornì la chiave per accedere alle emozioni che racchiudeva. La chiave per riconoscere un capolavoro.

A Study in Emerald nella sua prima edizione era sorprendente. Un gioco delirante e lucido, un viaggio onirico nella mente di un autore libero da costrizioni. TraA Study in Emerald le righe di quel titolo sbalorditivo esplodeva con forza ogni sfumatura d’emozione, dalla spensieratezza alla rivalsa. Diverse tipologie di gioco si univano, creando continui colpi di scena su un registro ben organizzato. Stile, follia e sottoregole in ogni carta, in ogni meccanica spinta al limite senza paracadute. Nessun meccanismo di controllo: una volta iniziato a giocare si veniva trasportati da eventi soprannaturali in un’avventura sempre diversa. La prima edizione di A Study in Emerald era un sogno del suo autore. Un sogno, un incubo, l’intimo sfogo di un ubriaco che libera il proprio talento senza riguardi per alcuno. Travolgente, spiazzante. Non credevo a ciò cui stavo giocando: Wallace aveva prodotto un’opera ben al di sotto dei suoi titoli migliori, però, per la prima volta, aveva creato un capolavoro.

Inoltrarsi nel mondo dell’arte per definirne le regole espone pericolosamente al pubblico ludibrio. Più facile cercare di tracciarne un perimetro, includendo ogni spazio che permetta a un uomo o a una donna di esprimere la propria creatività. E se così tutto può essere arte, allo stesso modo chiunque accetti di mettersi in gioco all’interno di tali confini può considerarsi artista. L’enormità di questa platea ha però bisogno di coniare altri criteri, per non svuotare di significato una definizione talmente alta. Criteri che si riferiscano all’aspetto oggettivo del talento, perché è dal talento che tutto ha inizio. E quando il talento si spinge oltre la normalità, il valore dei gusti personali abdica in favore del patrimonio comune.

La prima edizione di A Study in Emerald finì in un attimo. Il gioco, pubblicato su kickstarter, arrivò in fiera con poche copie disponibili al pubblico; appena il passaparola cominciò a tesserne le lodi, queste non bastarono a soddisfare la richiesta. Fu da quel momento che molti editori si misero in coda per la ristampa. Com’è normale per un gioco tanto estremo, il pubblico si divise fra l’amore e l’odio, con rare vie di mezzo. Purtroppo l’odio fa più rumore dell’amore e lo spettro del defunto A Few Acres of Snow tornò ad incombere su Martin. Le lamentele dei giocatori trovarono terreno fertile nella paura degli editori di andare incontro a un flop, così Wallace decise di rimettere mano al suo lavoro.

Gli artisti più grandi sanno far diventare immortali le proprie scelte ancor più delle loro opere. A volte le opere stesse prendono forza dalle scelte di un artista, in un insensato scambio d’energia. Tutte le volte che Kubrik preferì tenere fermo un copione piuttosto che accettare le ingerenze di un produttore, donò al film importanza e al suo talento consapevolezza. Quando Michelangelo non accettò la richiesta del committente, rifiutandosi di coprire i corpo nudi della Cappella Sistina, elevò se stesso e il proprio lavoro ben al di sopra di altri artisti, ritagliandosi uno spazio eterno nel tempo. Non si può scegliere di essere artisti, ma si possono compiere scelte capaci di renderci tali.

Pensavo, speravo, che le modifiche riguardassero solo la grafica, i materiali o al massimo sporadiche e invisibili limature a qualche spigolo. Invece la seconda edizione di A Study in Emerald è un altro gioco. Un buon gioco. Wallace ha normalizzato la genialità accontentando i suoi critici. Ora il titolo piace a molte più persone di prima. Funziona, fila liscio, leggero, senza colpi di testa o cali di tensione; tutti lo capiscono, sanno come giocarlo e si sentono rassicurati dal trovarci dentro il giusto numero di idee. Non troppo poche, per evitare la noia, né troppe, per non mostrare la propria inadeguatezza di fronte al talento. Una seconda edizione per rabbonirli, una seconda edizione per ingannarli, una seconda edizione per impoverirli e nella normalità incatenarli.

A Study in Emerald

È il momento del prossimo passo. È il momento che i giocatori guardino al movimento ludico come a un ambito artistico, con tutto ciò che ne consegue. E ciò che ne conseguirà sarà la perdita di un potere consolidato in anni passati a braccetto con autori ed editori; anni in cui il loro numero era tanto esiguo da contarsi sulle dita di una mano. Ora che autori ed editori lo sono tutti, è necessario che ognuno torni al proprio posto: un passo indietro personale per un passo avanti collettivo. Convincere la nostra coscienza di giocatori ad influenzare il mercato soltanto attraverso le scelte nei negozi. Scegliere con attenzione su chi e cosa investire i nostri soldi, premiare la qualità del lavoro a tutti i livelli, solo la qualità, solo il talento. Lasciare le chiacchiere ai critici. Che questi siano duri, intransigenti, come conviene a chi si appresta a valutare l’arte. Che siano preparati, indipendenti e pochi. Pochi. Perché tutti hanno opinioni, ma pochi posseggono l’indispensabile alchimia di spirito critico e conoscenza. Pochi, per fortuna. La storia ricorda i critici solo per i loro enormi errori di valutazione, mentre il pubblico, i giocatori, la gente: è la gente che fa la storia.

“Potevo chiedere come si chiama il vostro cane, il mio è un po’ di tempo che si chiama Libero. Potevo assumere un cannibale al giorno per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle. Potevo attraversare litri e litri di corallo per raggiungere un posto che si chiamasse arrivederci. E mai che mi sia venuto in mente, di essere più ubriaco di voi, di essere molto più ubriaco di voi.”

6 pensieri riguardo “Dell’arte, del potere e di altre sottoregole – (A Study in Emerald vs A Study in Emerald)

  • 23 Maggio 2016 in 15:49
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    Ciao Daniele,
    Complimenti. Pezzo scritto meravigliosamente ed un riflessione molto “nobile” sul tema della qualità contrapposto alla quantità. E’ un aspetto che prima o poi ci riguarda tutti. Certo non lo immaginavo fino a 2 anni fa ed ora faccio i conti con una casa che non ha più orifizi in cui infilare scatole!
    Io però in questo caso faccio parte del “popolino” che apprezza più l’edizione bonificata del gioco che quella aulica. Pur condividendo quanto scrivi penso che a volte le scelte che faccio sono dettate dalla mera opportunità: non mi appagano più troppo i giochi semplici ed introduttivi ma continuo a comprarne perché preferisco giocare che annoiarmi ad esempio davanti alla TV e per questo spesso lo faccio con giocatori occasionali. Per lo stesso motivo dell’opportunità faccio fatica a comprare e mettere in tavola giochi che siano lunghi come durata o che per ambientazione o tema non graditi a tutti.
    Per questo come spesso mi capita la penso in modo e poi gioco forza sono costretto ad agire in un altro.

  • 24 Maggio 2016 in 10:36
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    Grazie mille dei complimenti Luca, sono molto contento che il pezzo ti sia piaciuto. Capisco che tu preferisca la seconda edizione, praticamente tutti la apprezzano di più, il punto che mi interessava approfondire era il motivo per cui si è resa necessaria una seconda edizione così diversa dalla prima. Personalmente credo che la seconda edizione di A study in Emerald si perda nella marea di giochi di quel livello senza spiccare. Però senza dubbio è un buon gioco che preferirei mille volte ad un serata davanti alla tv. Si può trovare la qualità anche nei giochi semplici da proporre a tutti.

  • 24 Maggio 2016 in 15:50
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    Ciao,

    seguo tantissimo i video dei gioconauti e un po’ meno frequentemente le rubriche scritte.
    Ho letto più volte i tuoi articoli e raramente mi sono piaciuti nello stile. Ti direi che li ho trovati sempre un po’ troppo pretenziosi.
    Ma questo pezzo è… WOW!!! Hai espresso il tuo pensiero in un modo letteralmente meraviglioso. E non uso meraviglioso come iperbole di bello, intendo proprio “che suscita meraviglia, stupore”. Hai reso la tua idea (particolarmente romantica eppure risultato di una riflessione squisitamente razionale) con una scrittura armoniosa, coinvolgente e piena di sentimento. Veramente veramente complimenti!!! Che ti interessi o meno, hai un nuovo fan! :-D

    • 24 Maggio 2016 in 16:26
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      Mi interessa tantissimo! Mi hai emozionato e lasciato senza parole… Davvero grazie del tuo commento.

  • 24 Maggio 2016 in 18:43
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    Bellissimo articolo! Mi sono dovuto concentrare più del solito, ma ho apprezzato molto riferimenti e citazioni, nonché il tema. Non ho mai considerato la possibilità di trovarmi davanti ad “arte” quando apro una scatola di un gioco… tesi affascinante e che merita più di una riflessione. Non so ancora dire se sono d’accordo, ma sicuramente hai messo delle solide basi alla discussione.

    Certo che mettere De Andrè come immagine d’articolo è davvero scorretto! ;)

    • 26 Maggio 2016 in 10:27
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      ahahah Si in effetti l’immagine di De Andrè in copertina è un po’ scorretta :)
      Grazie dei complimenti Drugo, sono contento di averti lanciato uno spunto di riflessione, fammi sapere quando ti sarai formato un’opinione in merito.

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