The Battle at Kemble’s Cascade – Recensione

di Daniele “ditadinchiostro” Ursini

estate 1991

FIGLIO: Posso uscire?
MAMMA: Dove vai?
FIGLIO: Al bar con Alessandro e gli altri della spiaggia.
MAMMA: Va bene, ma non tornare tardi, ceniamo presto stasera.
FIGLIO: Mi puoi dare un po’ di soldi per i videogiochi?
MAMMA: Te li ho già dati ieri.
FIGLIO: Lo so ma ieri sono stato sfortunato. Dai mamma per favore, oggi lo finisco, sono sicuro.

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The Battle at Kemble’s Cascade è un gioco da tavolo ispirato ai videogame scrolling shooter degli anni ottanta/novanta, termini difficili per indicare gli sparatutto con il fondale a scorrimento che per un decennio hanno imperversato nei bar e sui primi supporti casalinghi. Un joystick per schivare la pioggia di proiettili e uno, massimo due tasti, per sfogare la propria potenza di fuoco contro i nemici. Che pilotassimo un’astronave, un aereo o un robot, non faceva differenza: il braccio destro schiacciava a ripetizione e il sinistro si contraeva come in preda a continui spasmi.

Il gusto vintage permea questo gioco sin dalla copertina: i colori eccessivi, i pixel visibili, il font usato. Se non fosse per il titolo ridicolmente lungo e privo di connotazioni evocative, questa scatola meriterebbe la vetrina più esposta della casa. Ignoro le problematiche che hanno determinato la scelta di un titolo talmente folle, ci saranno stati ottimi motivi, ne prendo atto ma non mi piace, non riesco a ricordarlo né a pronunciarlo. Per me il titolo perfetto di questo gioco è “Arcade” e così lo chiamerò d’ora in poi. E ora che l’universo ha ripreso a scrollare nella giusta direzione, apriamo la scatola.

estate 1991

FIGLIO: Oggi sono sicuro di finirlo.
AMICO: Devi stare attento alle astronavi prima del mostro finale. E’ meglio se ti concentri solo su una, la distruggi e poi ci passi in mezzo, schivando i colpi laterali delle altre.
FIGLIO: Per distruggere quelle però devo comprarmi il cannone al plasma invece dello scudo di secondo livello.
AMICO: Si, ma devi tenerti anche tutte le vite perché nel finale i missili da evitare sono troppi.
FIGLIO: Ce la posso fare, però se arrivano quelli che vogliono giocare dopo di noi, tu non fargli mettere il gettone sullo schermo perché mi innervosisce. Aspettano che finiamo.
AMICO: Si ok, agli altri ci penso io, tu pensa al gioco.
FIGLIO: Ok, però non distrarti troppo, devi aiutarmi.

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I materiali sono stupefacenti nel bene e nel male. Nel bene guardando splendere i cubetti di plastica trasparente, ammirando le astronavi tutte diverse tra loro e quella grafica deliziosamente retrò che fregia ogni dettaglio delle tante carte e del regolamento, provocando un costante salto nel passato. Nel male quando si prendono in mano i pezzi di plastica neri simili a grondaie o le carte di dubbia qualità dai bordi quadrati o le miniature delle astronavi in plastica di infimo ordine.

I sentimenti diventano meno contrastanti scoprendo che le grondaie sono l’elemento portante del sistema di scrolling, che le carte vi si inseriscono alla perfezione all’interno e che i bordi quadrati permettono alle stesse di combaciare perfettamente, dando un’eccellente sensazione di completezza quando il tabellone è totalmente composto. Vedere Arcade apparecchiato è una gioia per gli occhi, sebbene il gioco non ostenti opulenza nei materiali.

primavera 2026

Ci siamo, un solo turno prima del boss finale. Sono i nemici più difficili, ti attaccano in ogni direzione e non conta la distanza. Lo spazio sta per diventare troppo piccolo, impossibile nascondersi, troppo pericoloso racimolare le ultime ricompense. La nave gialla lo fa, resta sul bordo inferiore della mappa, galleggia tra asteroidi e navicelle, recupera qualche cristallo di Bellonium, termina il turno limitando al massimo i danni. Io no. Io no. Scelgo di tenere la nave in modalità power down per recuperare energia e acquistare nuove attrezzature. Resto in balia della minaccia nemica pur di equipaggiarmi un’ultima volta.  Acquisto tutte le armi possibili sostituendo persino il super motore che mi ha portato fin qua. Non è più tempo di volare nello spazio, ora è tempo di combattere, il rosso della mia astronave si confonderà al sangue dei nemici caduti sotto i colpi dei miei cannoni.

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Arcade si rivolge a un’ampia fascia di giocatori, pur rischiando di risultare inizialmente ostico ai meno esperti. Il turno e le relative scelte da compiere sono semplici ma gli incastri delle azioni con i diversi obiettivi e la pianificazione a medio termine necessaria, richiedono una certa attitudine al gioco da tavolo. Allo stesso tempo i giocatori più navigati noteranno probabilmente un’eccessiva incontrollabilità, soprattutto nella fase d’iniziativa, la quale apre ogni turno nel segno della casualità.

La fase di iniziativa determina l’ordine di gioco per il round corrente. I giocatori selezionano contemporaneamente una delle proprie due sensor card, le quali riportano un numero progressivo ed eventuali bonus. A questo punto si effettuano le azioni in ordine decrescente di carta giocata. Purtroppo anche scegliere un valore alto non dà la certezza di giocare prima degli avversari ed è spesso frustrante vedere i propri piani di battaglia in fumo ancor prima d’esser messi in pratica.

La caratteristica principale dei videogame scrolling shooter era un’esperienza di gioco frenetica, basata su riflessi, reazioni improvvise, quasi impulsive a ciò che capitava sullo schermo. La sensazione è che l’autore abbia cercato di ricrearla eliminando il fattore tempo. Questo sistema di iniziativa infatti, pur facendo storcere il naso ai fanatici della controllabilità, costringe i giocatori a reagire alla casualità, ad avere diversi piani B, a seguire le mosse avversarie in cerca dello spiraglio giusto in cui infilarsi. Eppure la mancanza di un limite di tempo per le azioni si avverte e potrebbe essere un’utile home rules da aggiungere dopo le prime partite.

estate 1991

FIGLIO: Finalmente si è liberato!
AMICO: E’ troppo tardi, non facciamo in tempo, torniamo domani.
FIGLIO: E’ tutto il pomeriggio che aspettiamo, non ci hanno fatto giocare nemmeno un minuto, dai dobbiamo finirlo…
AMICO:  Io devo stare a casa prima di cena, non facciamo in tempo a fare tutta la partita, è già tardi.
FIGLIO: Dai, sarò velocissimo ti giuro. Giochiamo!
AMICO: Gioca da solo, io devo andare, domani in spiaggia mi racconti tutto.
FIGLIO: Sei sempre il solito. Se perdo è colpa tua!

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Il tabellone è composto da cinque file di grondaie una sotto l’altra, riempite, a partire dalla più bassa, con le carte del mazzo avventura. Le carte sono divise in due parti che identificano altrettante caselle di gioco. Ad ogni nuovo turno il tabellone scrolla: l’ultima grondaia è rimossa e le eventuali astronavi presenti sono trasportate nello spazio superiore corrispondente. Il supporto di plastica è reinserito nella parte alta del tabellone e riempito con nuove carte. Il mazzo avventura viene assemblato all’inizio della partita seguendo le indicazioni del regolamento ma può essere personalizzato con l’inserimento di carte speciali, le quali aumentano la già elevata varietà di missioni.

Al termine del mazzo appare uno dei quattro boss disponibili. Il boss si compone in due file, pertanto sono necessari altrettanti turni perché sia completamente in gioco. Ogni boss ha delle abilità che lo rendono ancora più temibile e difficile da affrontare. E’ il boss a porre termine alla partita. L’universo scrolla ancora ma non si compone più sopra di lui e così, mentre continua a scendere, lo spazio per le astronavi diventa sempre più esiguo e la battaglia più epica. Quando resta solo una fila di carte nemiche, compare a video la fatidica frase: Game Over. Non resta che girare lo sguardo al punteggio e assegnare lo scettro di questa avventura spaziale.

primavera 2026

I tentacoli del boss sono troppo vicini, se non indietreggio non sopravvivrò al prossimo turno. Devo allontanarmi e sparargli allo stesso tempo, distruggere due tentacoli e sparire dalla portata del suo lanciafiamme. La nave gialla giocherà dopo di me, si fermerà a equipaggiarsi, non può affrontare questa fase con una sola arma. Attaccherò il boss sui componenti che forniscono più punti e, se riesco a giocare per primo anche al prossimo turno, non potrà più raggiungermi. Il distacco diverrà troppo ampio, non potrà più raggiungermi. Eppure qualcosa non va. C’è qualcosa che non torna. La nave gialla non si sta fermando ad acquistare armi, continua a muoversi nelle retrovie ora che non ci sono più nemici a minacciarla. Sposta la sua traiettoria, si accoda alla mia scia e spara. Spara ancora. Il mio livello di minaccia è troppo alto adesso, troppo, troppo alto…

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La plancia dei giocatori contiene quattro spazi per gli upgrade, i tracciati di Minaccia e di Energia, la stiva per accumulare Bellonium e l’immancabile riassunto delle azioni effettuabili nel turno. La scelta dei giocatori si articola tra azione di battaglia e azione di equipaggiamento.

Durante l’azione di battaglia ci si può spostare in ogni direzione (utilizzando la propria forza motore) e far fuoco sui nemici rappresentati dalle carte o su un’astronave avversaria (utilizzando le armi a disposizione). Ogni spostamento diminuisce di un’unità il livello di minaccia, simulando la capacità dell’astronave di schivare i colpi che vede arrivare. Per muoversi o sparare ulteriormente è necessario sovraccaricarsi consumando energia, energia necessaria però a contrastare il livello di minaccia rimasto attivo. Al termine delle azioni infatti si azzera il livello di minaccia scalando lo stesso quantitativo di energia e, se questa si esaurisce, l’astronave esplode.

C’era un momento nei videogiochi, quando si perdeva una vita e si passava alla successiva, in cui il nostro alter ego di pixel lampeggiava. Lampeggiava ed era indistruttibile, per pochi secondi, prima di tornare solido e agguerrito. Succede lo stesso in Arcade, si esce dalla mappa dando punti a coloro che vi rimangono, al turno successivo si riparte con un’azione di upgrade obbligatoria a livello zero di minaccia.

Il livello di minaccia viene aggiornato al termine del turno di ogni giocatore e si determina contando i relativi simboli presenti nelle otto caselle attorno all’astronave (al netto di abilità speciali dei nemici). Questo parametro simula l’attacco che dobbiamo fronteggiare nel round successivo e deve essere risolto e aggiornato anche scegliendo l’azione equipaggiamento.

Equipaggiandosi il giocatore ottiene due livelli di energia e può inoltre acquistare upgrade per la propria nave. Non c’è limite agli upgrade acquistabili, purché si abbia Bellonium per pagarli. Questo raro cristallo è la moneta dello spazio e si conquista perlopiù distruggendo nemici. I miglioramenti riguardano ogni aspetto della propria astronave, dal motore al generatore di energia, dallo scudo al puntatore, dalle carte power-up alle armi. Missili, cannoni al plasma, laser, lanciafiamme, l’arsenale è fornitissimo ma ognuno di questi gioielli può esplodere la propria forza una sola volta per turno.

primavera 2026

La navicella rossa non ha più possibilità. Si è fatta attirare dal luccichio del mostro, è stata travolta dagli eventi perdendo di vista l’obiettivo. E la partita. Ha avuto fretta, era sicura di vincere, si è esposta troppo. Sono riuscito a distruggerla, a superarla nel punteggio, a farle perdere un turno in un power down inutile priva com’è di Bellonium. Io non mi equipaggio, non ne ho bisogno, devo solo riuscire a sopravvivere, sgusciare tra i proiettili, nascondermi dietro gli asteroidi e, di tanto in tanto, racimolare punti attaccando le parti più fragili del mostro. Poi stare alle costole dell’astronave rossa. Tenerla sotto tiro, metterla in difficoltà per evitare che completi gli obiettivi. Lo spazio non è il luogo dell’impulsività, bisogna riflettere su ogni virata, studiare il nemico, trovare il modo di affrontarlo e il momento più opportuno per batterlo. La mia nave ora non è gialla, ha il colore dell’oro dei vincitori.

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La simulazione che questo titolo propone dei videogame anni ottanta/novanta è senza dubbio riuscita. Si respira aria di videogioco nella grafica, nell’acquisto di migliorie per la propria astronave, nella continua distruzione delle navicelle nemiche e nella difficoltà crescente ad ogni scrolling. La grande differenza è nell’obiettivo del gioco: davanti al monitor si stava da soli e si cercava di arrivare più lontano possibile, intorno al tavolo invece siedono tra i due e i cinque piloti e l’intento diventa quello di guadagnare più punti degli altri.

Punti se ne possono ottenere in modi diversi: con l’obiettivo personale pescato a inizio partita, con gli obiettivi comuni realizzati prima degli altri (e sempre rimpiazzati da nuovi) o colpendo le astronavi degli avversari e portandole alla definitiva esplosione. Anche i nemici sulle carte forniscono spesso punti vittoria, ed infine il boss finale ne è un’autentica fabbrica, per chi riesce a distruggere i suoi componenti.

estate 1991

FIGLIO: Scusa Mamma, dei ragazzi grandi hanno occupato il gioco tutto il tempo.
MAMMA: Non mi interessa! Ti avevo detto di tornare presto, stiamo tutti ad aspettare te.
FIGLIO: Ho fatto tardi solo dieci minuti.
MAMMA: Hai fatto tardi quasi un’ora!
FIGLIO: Non è vero! Per sbrigarmi sono pure morto a metà del gioco.
MAMMA: Non mi importa niente di quel maledetto gioco, tu non esci più per tutta la settimana!
FIGLIO: No Mamma, ti prego!

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Seppur imperfetto The Battle at Kemble’s Cascade è un gioco riuscito che copre i propri difetti con le idee e il coraggio. Coraggio di sfidare un mercato sempre più settorializzato stagliandosi come prodotto trasversale che unisca il giocatore occasionale all’esperto e prendendosi il forte rischio di non soddisfare appieno nessuno dei due.

Di certo questo titolo è lontano dal potersi definire controllabile a fronte di una discreta richiesta di pianificazione delle mosse. La durata risulta leggermente eccessiva utilizzando il mazzo base suggerito dal regolamento, è necessario limarlo per non incappare in una sensazione di ripetitività. In cinque giocatori la meccanica d’iniziativa dà il suo peggio e il downtime pesa sull’esperienza di gioco, facendo avvertire la mancanza di un timer che dia ritmo e un pizzico di frenesia.

Eppure il gioco riesce nel compito più difficile: ricordare che “C’era una volta l’Arcade”. Il resto passa in secondo piano davanti a un titolo originale che racchiude in sé più idee di quante se ne vedessero da tempo. Il movimento a cascata del tabellone è una chicca che riappacifica con tanti giochi inutili provati. L’ambientazione si avverte sulla pelle e sicuramente avrà più presa su una generazione piuttosto che su altre, eppure il fascino di scegliere la nuova arma, equipaggiarla e poi tornare fuori a provarla sui nemici, ritengo sia ludicamente universale. E nascondersi dagli altri per colpire al momento opportuno, sfruttando un’interazione diretta tanto forte quanto facoltativa, può non rappresentare un’abissale profondità strategica, ma regala l’inebriante sensazione d’un piano ben riuscito. Esultare, minacciare gli avversari, poi veder crescere la potenza del nemico in attesa del boss e prepararsi allo scontro finale. Sentire il joystick stretto nella mano sinistra, i pulsanti sotto le dita della destra, dimenticarsi dove ci si trova e da quanto tempo, poi lanciarsi nell’ultimo assalto.

The Battle at Kemble’s Cascade è più di tutto un gioco divertente e come tale va approcciato. Il divertimento è però un fattore estremamente soggettivo, ognuno lo avverte a suo modo. A me diverte tutto ciò che ho espresso in questo articolo, compresi i difetti. Mi diverte che abbia un nome grottesco, mi diverte dover studiare la migliore composizione del mazzo o cercare un modo efficace di contingentare il tempo. Anche nell’imperfezione c’è un sapore retrò. Quella schermata iniziale che salta e scompare e speriamo che stavolta si avvii, perché ho proprio voglia di giocare.

primavera 2026

PAPA’: 44 a 36 per te.
FIGLIO: Ti ho schiantato. E avevi detto che eri forte a questo gioco.
PAPA’: Ti ho detto che ai miei tempi ero forte ai videogiochi di questo tipo.
FIGLIO: Ti piacevano i videogiochi?
PAPA’: Piacevano a tutti. D’estate stavamo sempre al bar a giocare, tua nonna ne sa qualcosa.
FIGLIO: Allora perché ora non ci giochi più?
PAPA’: Ci abbiamo appena giocato. Ti sei divertito?

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